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Cultura della cura come percorso di pacetorna su

«Non c’è pace senza cultura della cura, ma sappiamo anche che non c’è pace senza sviluppo, quindi non c’è sviluppo senza cultura della cura».

 

Ne è convinta la prof.ssa Alessandra Smerilli, docente di Economia politica alla Facoltà, nel video in cui commenta il Messaggio che papa Francesco ha inviato per la Giornata Mondiale della Pace che si celebra il 1° gennaio 2021 e che ha per tema: «Cultura della cura come percorso di pace».

 

Che cosa è cura e che cosa è prenderci cura gli uni degli altri? Alla domanda, si potrebbe rispondere con alcuni verbi: coltivare e custodire, perché «dalla Bibbia sappiamo che Dio affida la terra all’uomo per coltivarla e custodirla. Caino, dopo aver ucciso Abele, risponde a Dio: “ma sono forse io il custode di mio fratello?”. Siamo proprio custodi dei nostri fratelli, quindi tutto è in relazione. Prendersi cura significa coltivare e custodire la terra, prenderci cura e custodire i nostri fratelli».

 

Custodire e prendersi cura dell’altro, ci aiuta a considerarlo non un dato statistico, qualcuno da sfruttare e poi scartare quando non è più utile, ma come prossimo, compagno di strada.

Per questo, invita ad essere coraggiosi come lo è papa Francesco, quando «propone la costituzione di un fondo mondiale per lo sviluppo perché non ci sia più fame sulla terra. E dove prendere questi soldi? Dai soldi che vengono destinati alla spesa in armamenti, soprattutto alle armi nucleari perché, soprattutto dopo il Covid-19, e tutto quello che sta generando come conseguenze sociali ed economiche, abbiamo bisogno di solidarietà e di cura e non abbiamo forse bisogno di questo tipo di spese».

 

Il terzo verbo della cura è “educare”, educare alla cura e educare a una cultura della cura.

«Le Università sono chiamate in causa - precisa ancora la prof.ssa Smerilli - perché siano veicolo di una cultura della cura. Parafrasando don Bosco, che affermava che “in ogni giovane c’è un punto accessibile al bene”, forse noi oggi potremmo dire che in ogni giovane c’è un’attitudine a prendersi cura gli uni degli altri. Sta a noi educatori sviluppare questa attitudine e renderla cultura della cura. Solo così, la cura non rimarrà relegata alla sfera privata e alle donne».

 

A completamento del commento della prof.ssa Smerilli, si segnala il contributo di Jennifer Nedelsky, docente ordinario presso la Facoltà di Diritto dell’Università di Toronto, pubblicato sul numero 2 della Rivista di Scienze dell’Educazione.

L’articolo, in lingua inglese, Restructuring work for (part) time for all, sostiene l’urgenza di una svolta collettiva e seria nella cultura della cura in rapporto a quella del lavoro, come espressione di democrazia e uguaglianza tra le persone che vengono sostanzialmente negate: giovani, donne, anziani.

 

Commento di Alessandra Smerilli
Articolo di Jennifer Nedelsky